Trasformare l’esperienza in visione
6 MINUTI DI LETTURACitazioni libere e scelte fra libri spontaneamente incontrati
Rilke richiese alla propria vita e alla propria disciplina di scrittura la durezza che gli pareva essenziale per non disperdere quel dono incalcolabile che è la pura e semplice esistenza di ognuno: “parlare d’amore significa parlare di durezza”.
La scrittura delle lettere si assomma a quella poetica in modo che ogni rapporto -col mondo esterno come con la propria interiorità- passasse al setaccio fino della lingua.
“Come lo sguardo della sfinge è maturato fino alla perfezione in secoli di intemperie e deserto, così gli occhi degli uomini devono imparare a trasformare l’esperienza in visione, sfuggire ogni sazietà e pigrizia, scuotersi dalle abitudini e addentrarsi persino nel dolore, per non perdersi nulla del mondo e mantenere quel sentimento dell’inizio grazie al quale si comprende che, PER STUPIRSI COME PER SCEGLIERE, LA VITA COMINCIA OGNI GIORNO.”
“Ho sperimentato sulla mia persona innumerevoli volte come niente sia più difficile di amare. Ho imparato che è un lavoro, un salario da sudare ogni giorno. L’amore è una cosa difficile più di tutte le altre, perché nei conflitti di diverso tipo è la Natura stessa a risvegliare nell’individuo un istinto a trattenersi, a contenersi con tutte le proprie forze, mentre in quella forma di incremento di sé che è l’amore si è spinti a lasciarsi andare completamente. Il più grande errore che si possa compiere nelle relazioni tra esseri umani è divenire impazienti. Forzarsi a raggiungere un qualche compimento, prendere una decisione definitiva. La vita è in sé trasormazione, e nulla è più mutevole delle relazioni umane, che sono un concentrato di vita. Un minuto sorgono e quello dopo declinano, e gli amanti sono coloro per i quali ogni rapporto, ogni sfioramento insomma, ogni istante è diverso dall’altro; sono esseri umani tra i quali non succede mai nulla di abituale, nulla di già avvenuto. Agli amanti accadono solo novità, inaspettate, inaudite novità. Relazioni di questo tipo esistono, e devono significare una felicità enorme, quasi insopportabile, ma possono verificarsi solo in casi di grande abbondanza spirituale, solo tra coloro che hanno, ognuno nella propria individualità, ricchezza, ordine e raccogliemento interiori; SOLO DUE MONDI AMPI, PROFONDI E ORIGINALI POSSONO UNIRSI. Chi ama dunque deve passare molto tempo da solo e addentrarsi nel proprio intimo, contenersi, trattenersi; deve lavorare, deve divenire qualcosa! Più ampio è il tuo essere, più ricco è tutto ciò che ti accade. Si deve vivere in se stessi e pensare alla vita nella sua interezza, ai suoi milioni di possibilità, alle distese immaginabili di futuri, così vaste che nulla è davvero passato o perduto.”
“Ci si deve sempre attenere a ciò che è più difficile, perché quella è la parte che davvero ci appartiene. Dobbiamo sprofondare nella vita in modo che essa gravi su di noi e diventi un peso: non dobbiamo circondarci di piaceri, bensì di vita. Se per molti la vita diviene poi di colpo più facile, è solo perché non la prendono più sul serio, hanno smesso di portarla su sé, di sentirla e compierla con la parte più autentica del proprio essere. Ci è richiesto di amare ciò che è più difficile, di imparare a conviverci, perché è nella difficoltà che risiedono le forze benevole, le mani capaci di lavorarci, di rifinire il nostro essere. Le nostre gioie, la nostra felicità, i nostri sogni devono esistere nel pieno delle difficoltà; vedendoli stagliarsi lì, contro quello sfondo d’abisso, assistiamo per la prima volta al pieno fulgore della loro bellezza.”
“Soltanto nella gioia il creato continua ad essere creazione (la felicità al contrario è solo una costellazione di cose già presenti, gravida di significati e promesse) nella gioia l’esistente subisce una meravigliosa addizione, una pura crescita dal nulla. La felicità è debole nel coinvolgerci perché subito ci lascia il tempo per pensare alla sua durata e quindi preoccuparci. La gioia invece, è un momento senza obblighi, fin dal principio senza tempo, che non la si può trattenere ma non la si può neppure perdere. La gioia sublime non rinuncia al suo diritto di sorpresa, va e viene a piacimento; e da tempo ormai ho imparato a non pretendere che sia la conseguenza di una qualche gioia precedente. Ormai il mio orecchio è allenato a sentire la possibilità della gioia anche lì dove non c’è.”
“La nostra sicurezza deve invece in qualche modo trasformarsi in una relazione con il tutto, con il mondo nel suo complesso; essere sicuri per noi significa conoscere l’innocenza del torto e accettare la capacità del dolore di trasformarsi in forma; significa rifiutare i nomi per onorare, come fossero nostri ospiti, i singoli legami e collegamenti che il destino nasconde dietro ogni nome … significa non sospettare di nulla, non tenere nulla a distanza, non considerare nulla come Altro irriducibile, significa spingersi oltre ogni concetto di proprietà e vivere di acquisizioni spirituali e mai di possessi reali. Questa sicurezza tutta da osare accomuna le ascese e le cadute della nostra vita e in questo modo dona loro un senso. Accogliere la vastità dell’insicurezza: in un’infinita insicurezza anche la sicurezza diviene infinita.”
“La mia porzione di patria è sparsa qua e là negli animi degli amici”
“Nella vita si deve risvegliare in se stessi il più spesso possibile il sentimento dell’inizio. Basta un minimo cambiamento esteriore e, partendo dal nostro cuore, possiamo trasformare il mondo intero; se il cuore saprà essere sempre nuovo e smisurato, allora anche il mondo tornerà subito come nel giorno della creazione e infinito.”
“Spesso la rozzezza e la grossolanità di qualche colpo, o anche una distruzione palese, possono dare vita ad un nuovo ordine interiore dentro di noi. E’ la più profonda opera della forza della vita, che il male si dispieghi nel bene, si capovolga in bene: senza questa sorta di magia saremmo tutti cattivi, perché il male ci tocca tutti, ci penetra dentro, e non c’è nessuno che non potrebbe essere colto di sorpresa in un momento in cui è ‘cattivo’, e per questo nessun essere umano ‘è cattivo’, e per questo nessun essere umano deve mai pensare di ‘essere cattivo’; ma il segreto è che il male non sta fermo, è vita e quindi si muove. Nessun essere umano ha avuto il tempo di essere cattivo, il male si è spostato: già non è più quel che era.”
“Ciò che rende preziosa e indicibile la nostra esistenza è che essa adoperi le esperienze dolorose per penetrarci nell’animo. Anche la felicità può servire da appiglio per spingerci ad esplorare ciò che per sua stessa natura trascende. La differenza è però che quando siamo felici non dobbiamo compiere nessuno sforzo per capire che ci sta accadendo del bene; anche se poi la difficoltà di mettere a frutto il bene contenuto nella felicità non è minore rispetto a quello di riconoscere che c’è qualcosa di positivo alla base di ogni perdita che il dolore ci infligge.”
“C’è un momento benedetto nella vita interiore in cui si accetta o si sceglie, da allora in poi, con ogni forza, con ostinazione, DI AMARE IL PROPRIO PIU’ GRANDE TERRORE, IL MAGGIOR DOLORE CHE, SOPPESANDOLO CON LE NOSTRE PERSONALI UNITA’ DI MISURA, ABBIAMO MAI PROVATO. Una volta presa questa decisione, la parola ‘separazione’ non si svuota di significato ma diviene una ‘una dolce mancanza di nome’ per un’infinita quantità di scoperte, armonie, rivelazioni prima impensabili e inesistenti.”
“Neanche il tempo consola, al massimo mette un po’ a posto (…) sfuggire ogni consolazione di fronte alla perdita, al lutto, dovrebbe essere il nostro istinto naturale, anzi dovremmo sviluppare una profonda, dolorosa curiosità indagatrice per le peculiarità, le unicità di quella specifica perdita, sperimentare gli effetti che ha sulla nostra vita, dovremmo stimolare la nostra nobile cupidigia proprio di quella perdita, del suo significato, della sua difficoltà, per arricchire il nostro mondo interiore… Quanto più profonda la ferita, quanto più forte il colpo che ci infligge un simile lutto, tanto più esse rappresenta un compito. Questo è dolore attivo, che partecipa alla nostra vita interiore, è l’unico che abbia senso e che sia degno di noi. Per quel che mi riguarda, per me è morto solo ciò che è morto dentro di me, ossia negli abissi del mio cuore. La morte si annida così in profondità nell’essenza dell’amore che non la contraddice mai… se solo potessimo conoscere la morte sempre soltanto insieme all’amore… perché, a pensarci bene, la morte dove mai potrebbe nascondere la persona che abbiamo sempre portato nel cuore con cure indicibili, se non in quello stesso cuore? Non voglio dire che si debba amare la morte, però si deve amare la vita con tale generosità senza calcoli e preferenze, cosicché, quasi senza vederlo, ci si trovi a includere in questo amore anche la morte.”
Da “La vita comincia ogni giorno” raccolta delle lettere di Rainer Maria Rilke.
L’Orma Editor