Di dis-atteso desiderio

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Qual è la relazione fra il mancare il proprio desiderio, unico vero peccato per Lacan, e la rinuncia alle aspettative, indiscussa Via per il Buddismo?

Uno scorcio è la precisione. L’aspettativa è precisa di millimetrica autonarrazione, il desiderio è intensa e aperta direzione: la sua quota non sta nei dettagli ma nella forza.

L’aspettativa è gira a destra poi a sinistra e fai una curva ad U. Il desiderio è prendi verso ovest e tira finché morte non sopraggiunga.

Il desiderio ha nel petto l’assunzione di responsabilità, mi aspetto di giocarmi, sono disposto a mettere il sale sulla ferita della sconfitta. Il desiderio ha il soggetto nell’io. L’aspettativa trema sul terrore del rifiuto e s’imbruttisce nella vergogna del disincanto. Il suo soggetto è sulle cose che devono andare.

C’è un passaggio che mi piace: il trasformare l’una nell’altro.

Alcune volte l’aspettativa cade e porta con sé anche la possibilità di desiderio, troppo collegata com’era alla sceneggiatura per poter sostenere una nuova versione dei fatti. Il dio Controllo l’ha avuta vinta: rompe il legame -ammesso che legame ci sia mai stato e che non fossi in relazione solo con me stesso-

Altre volte l’aspettativa cade e sentiamo che più forte il desiderio bussa da sotto. Vuole vivere, quale che sia la forma che gli verrà concessa… come quando sento che mi piacerebbe farti provare le uova cotte nel burro salato a colazione, un attimo dopo essermi detta che mi avevi deluso e che non volevo vederti più.

Quando cade l’aspettativa restano gli scheletrini… pelle e ciccia indorati dalle fantasie dell’attesa non lasciano che denutriti cadaveri schiaffeggiati dalla realtà… è lì che un desiderio risorge dalle ceneri oppure un’idea narcisistica incontra degna sepoltura.

Osservo il fiore oppure lo colgo: annuso la bellezza e la lascio nutrire dalla terra della realtà oppure ne spezzo il gambo e lo soffoco nella tasca delle mie personalissime fantasie, lo strozzo fra le pieghe di un libro che tengo a scrivere solo da me.

Essere desiderio senza più oggetto, aspirare alla vocazione profonda che traccia i contorni di un’identità più che d’una profezia. Sentir pulsare di vita l’arco teso ed essere tutto nel muscolo del mio braccio nella pupilla che mira il filo. Non è per me il viaggio della freccia, del suo impatto con l’aria e del suo procedere fra le perturbazioni dell’istante, io coltivo nei suoi confronti un casto pudore. Non mi riguarda il suo incontro o meno con un centro e se quel centro pure esista. Non sta a me; io solo desidero

scoccare.

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