Filo spinato

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Nei post che seguiranno accosterò frasi scelte dalle Lettere che Etty Hillesum scrisse nel campo di concentramento di Westerbork a risonanze  incontrate in tempo di pandemia. Affondo la mia traccia nella speranza di fare anima, toccare solitudini, valicare distanze. Desidero custodire l’esperienza umana solcata a piccoli passi lungo il filo spinato di questo tempo.

“Se noi dai campi di prigionia, ovunque siano nel mondo, salveremo i nostri corpi e basta, sarà troppo poco. Non si tratta infatti di conservare questa vita ad ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni nuova situazione, buona o cattiva, possa arricchire l’uomo di nuove prospettive. E se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo affrontare – se non li ospitiamo nella nostra mente e nel nostro cuore per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione-, allora non siamo una generazione vitale”

Etty Hillesum “Lettere 1941-1943” Edizione Integrale Adelphi 2013 pag. 57

 

Il rischio che sento è l’ansia del trattenere, rimanere attaccati, mettere energie al fine di salvaguardare uno status quo che ha dato il giro. Una superficie di specchi lungo la quale tentare assurda risalita per paura del nuovo, paura del vuoto, paura di perdere… invece di lasciarci scivolare giù. Imparare le onde, imparare a surfare nel ribaltone di correnti che sta scuotendo il mondo. Noi privilegiati, noi ancora vivi, noi “non intubati” con o senza cane, con o senza giardino, noi con o senza mascherina, con la dispensa vuota, con la dispensa piena, noi fuori dagli ospedali, noi ai quali è chiesto di restare a casa, abbiamo una responsabilità più intima di fronte al focolare: lasciare andare.

Lavorare alacremente ognuno nel suo per portare avanti la propria micro o macro missione professionale o familiare ma insieme dentro, profondamente dentro, lasciare andare. Accettare la rivoluzione delle priorità, mollare il piccolo obiettivo, distogliersi dal “mio” enorme problema di ieri, dal calcolo millimetrico del futuro prossimo, dall’accumulo, dal perimetro dell’orto che m’ero sudato. Si staglia davanti a noi un’occasione magica. L’universo ci pone di fronte ad un’enorme opportunità di condono: possiamo abbattere i muri delle nostre paure, gettare i vecchi sintomi oltre il filo spinato, guardarli dalla distanza di una condizione nuova che ci rende uguali tutti, bisognosi tutti. Uscire dall’isolamento del mio-io-mio e provare a mollare ancora un poco quel nostro egocentro e tentare d’essere attenti aperti al qui ed ora di questo momento.

Siamo dentro ad un passaggio che farà la storia e non siamo sfortunati. Non è un peccato non poter portare a casa una vita lunga e pasciuta evitando le buche più dure. Siamo i protagonisti possibili di un salto della specie; non dal pipistrello all’uomo ma dall’uomo ad un essere realmente umano. 

 

Il lavoro dell'oggi

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