Respiro presenza
3 MINUTI DI LETTURACitazioni libere e scelte fra libri spontaneamente incontrati
La pace non è la quiete ma piuttosto l’accoglienza dell’irrequietezza.
All’inizio è necessario costruire un nido dentro di noi, traslocare dalla mente discorsiva che costantemente ci descrive i fenomeni e che ci racconta tutto quello che siamo stati che siamo e che saremo, a un nido di silenzio che sta in pieno corpo: il cuore.
Impariamo a conoscere un amico che nasce con noi e con noi muore, il compagno discreto di tutta una vita che non consideriamo quasi mai: il respiro.
Il respiro è un sensore per imparare a entrare in relazione con lui, fino a una vera intimità, ci permette di conoscere il nostro mondo interno e quello esterno in modo assolutamente diverso dalla conoscenza mentale e anche da quella emotiva che non avevamo prima.
Entrare in contatto con il respiro significa diventare saldamente delicati.
Non catturare il respiro, non fargli la posta, ma avanzare con rispetto e avvicinarlo con cura, come faremmo con un essere selvatico rimasto a lungo solo. Deve abituarsi a noi e noi abituarci ad avvicinarlo non per modificarlo ma per conoscerlo.
La postura del cuore è: io sono qui, aperta a qualsiasi cosa sorga e mi visiti, sono radicata a terra, sono il suo sostegno, e insieme mi alzo verso il cielo, nello spazio, li cucio. Il respiro è il mio alleato, mi fa stare in questo momento che fugge.
Imparando a conoscere intimamente il respiro, ci accorgiamo che ha due pause, una breve tra inspirazione ed espirazione e una più prolungata alla fine dell’espirazione, prima di inspirare di nuovo. Riuscire a sostare in questa pausa è come sostare nella terra della mancanza, senza cercare rimedi né cause, è entrare in contatto con il nostro fondamentale, radicale mancare e scoprire che dimorando nella sua precaria, sfuggente terra, ci ricarichiamo, siamo.
E’ meraviglioso lasciarci disturbare dalla vita, dagli altri e nello stesso tempo non restarne schiacciati. Non si tratta di essere imperturbabili, ma imperturbabili dal turbamento, accogliere ogni visitatore…
Non è facile, si tratta di spiazzarsi, non essere più in centro, ma una grande periferia sconfinata, e vedere sorgere e tramontare i fenomeni e accorgerci dell’amorevole sfondo che rimane e che non è di nessuno.
La giusta vicinanza ci permette di arrivare non più ad una reazione ma ad una risposta.
Se la meditazione non dilaga nella vita quotidiana, se non sfida quello che chiamiamo “il mio carattere”, se non comprendiamo che tutto è meditazione, la nostra vita resta sempre la stessa, centrata sull’io.
Essere presenti significa essere presenti al proprio io come ad un oggetto di studio.
Dove c’è presenza non può esserci io e solo la presenza ci raggiunge e ci trasforma. Quando siamo nella presenza, sappiamo esitare, fare silenzio, sappiamo non sapere.
La presenza è smettere di avere paura della propria delicatezza.
Va allenato uno sguardo tenero, compassionevole, uno sguardo fermo che vede i limiti ma non si trasforma in giudice…
C’è un punto in cui il dolore diventa anonimo… è l’energia di essere al mondo, di avvertirsi separati e di percepire la nostalgia e il richiamo all’unità.
Essere in contatto con la fonte del desideri, con il nostro costante mancare è l’essenza della meditazione. Essere alla fonte è smettere di desiderare, perché si abita il desiderio, perché si aiuta il desiderio, si é il desiderio senza più oggetto, e il cambiamento inizia accogliendo se stessi, la nostra incompiutezza, la nostra mancanza… attendendo alla trasformazione che arriverà quando il tempo sarà maturo.
La meditazione è seminagione di sacro nell’ovvietà quotidiana.
C.L. Candiani
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