Sentire spoglio
3 MINUTI DI LETTURACitazioni libere e scelte fra libri spontaneamente incontrati
Prima di tutto bisogna avere un corpo. Possiamo avere, essere, carne, senza avere, essere corpo. Spesso la paura taglia il legame fra noi e il corpo. La ripetuta attenzione al respiro, alla sensazione, alle sensazioni, ai suoni fa percepire la vita che continuamente scorre in noi e riallaccia il legame con il sentimento d’essere. E’ necessario lasciarsi attraversare da un sentire spoglio, senza aggiungere, senza togliere, lasciandoci attraversare dall’impatto con il mondo. L’aggiunta che noi facciamo al male è la vergogna, la paura, il senso di fallimento, l’avversione ostinata alla sofferenza. Si tratta di interrompere l’autonarrazione che descrive, aggiunge commenti, cronache in diretta o differita e stare invece con la nudità del sentire, lasciarsi fare e disfare dal sentire che non ci è nemico, è tutt’uno con l’essere al mondo, con il ricevere l’impatto sensoriale con il mondo.
Occorre creare inizialmente un nido, un luogo in cui tornare, il respiro, il corpo, le sensazioni, la coscienza ben radicata nell’organismo, un luogo a cui poter fare costante ritorno. Come gli uccelli che iniziano a volare , non si allontanano mai troppo dal nido, dal principio. Poi scoprono che ci sono tanti appoggi, piccoli nidi provvisori, stazioni di sosta: rami, tetti, muri, sporgenze. Allora si va, più liberamente, più sicuri, perché il ritorno è sempre più frequente e a portata di mano, perché si impara a tornare a sé sempre e ovunque, perché non c’è più un’unica postura per farlo, ma piuttosto un atteggiamento di diffusa fiducia nel percorso. Ci vuole un centro, qualcosa a cui tornare, altrimenti ci si polverizza.
C’è un no nella paura, non vogliamo viverla. Ricordo notti intere in cui la mia paura si trasformava in terrore e pietrificazione perché mi rifiutavo di sentirla, non ero pronta. In realtà una sensazione non può durare che al massimo due o tre minuti, poi cambia. Quello che la può rendere apparentemente continua sono le nostre aggiunte, i commenti , le critiche, l’autonarrazione.
La paura è sempre nel tempo. E’ nel passato, la paura di qualcosa che è già avvenuto e temiamo che torni o si ripeta. O nel futuro come anticipazione di qualcosa. O nel presente, come ansia che non ci permette di sentire cosa stia realmente accadendo. La consapevolezza non appartiene al tempo, vive nel fluire, trascorre, tutt’uno con la vita stessa. come il respiro. Niente interrompe la consapevolezza, è come credere che le onde interrompano l’oceano. Le onde sono il movimento dell’acqua, la sua energia. Così sensazioni, pensieri, emozioni sono le onde, l’energia che attraversa la nostra coscienza che fondamentalmente è pace.
Sapere stare nel flusso, sapere che se c’è alba c’è tramonto, se c’è nascita c’è morte, se c’è tramonto c’è alba e se c’è morte c’è nascita, insegna a tornare alla fonte anziché orientarsi sempre a una meta.
Non siamo soli, siamo tutto, e per scoprirlo occorre attraversare un profondissimo, assoluto senso di solitudine. La paura della solitudine è un altro degli ostacoli al percorso verso se stessi, un percorso indispensabile.
E’ il concetto di farcela che va riscritto in noi, non più la conquista, la sfida, la crescita all’infinito, ma il sintonizzarsi, l’ascolto umile e attento degli insegnamenti che bussano nei fili degli astri, nelle zanzare e negli elefanti, nelle creature che stanno scomparendo e in tutto quello che resta, nella responsabilità di stare svegli e sensibili in questo immenso non-sapere.
C.L. Candiani
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